Un album e due grandi collaborazioni, quella con Earl Sixteen e Johhny Osbourne: sono queste le premesse che fanno di Italian Roots Records una delle realtà italiane più interessanti degli ultimi anni. Band ed etichetta discografica, il loro nome è sicuramente sinonimo di qualità. Li abbiamo intervistati in occasione del loro recente singolo “Mental Poverty”, in collaborazione con il leggendario Johnny Osbourne.
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Quando nasce l’idea di creare la label?
L’idea della label Italian Roots Records nasce nel 2013 dall’incontro della Cultural Sound Crew proveniente dal sud-barese e King Daddy,selecta salentino nonché membro all’epoca del Rebel Lion Ital Sound, ufficializzandosi nell’aprile 2014. Incontri fortunati e obiettivi comuni che hanno unito e messo in moto il progetto.
Che obiettivo ha la Italian Roots Records?
Il nostro obiettivo è indubbiamente promuovere musica cosciente,messaggi forti che smuovano le persone e mettano in atto il cambiamento che serve per vivere meglio e in armonia. Cerchiamo di farlo creando musica che ricorda le origini: roots che si mescola alle sonorità ipnotiche del dub.
Chi c’è dietro l’Italian Roots Records?
La nostra label è composta da varie persone,con le loro peculiarità che contribuiscono,ognuno a suo modo, per realizzare quello che ci si è prefisso. Nello specifico troviamo:
Davide Simone “Davy Roots”,musicista e creatore di riddim, parte degli arrangiamenti e testi,nonchè promotore instancabile di reggae music.
Riccardo Rausa “King Daddy”, che si occupa dei contatti con i cantanti grazie all’esperienza accumulata vivendo e lavorando a Londra per diversi anni. Inoltre essendo costruttore di sound e tecnico del suono, contribuisce anche lui a migliorare le sonorità delle nostre produzioni.
Anthea Pugliese, che gestisce social, promozione e burocrazia.
Riccardo Cara Damiani “I-Tal Lion”: toster, lavora a stretto contatto con gli artisti nella fase di resa in slang e adattamento dei testi oltre a contribuire come tutti noi nella promozione e produzione.
Per quanto riguarda registrazioni,missaggi e mastering dei nostri pezzi, ci affidiamo a Luca De Biase: musicista, proprietario dello studio (B4S Before Studio), nonché tecnico studio ed ingegnere del suono.
Due produzioni per due grandi artisti: la prima è Revolution Is Gonna Blow con Earl Sixteen e la seconda, recentissima tune, è Mental Poverty con Johnny Osbourne. Com’è stato produrre questi pezzi per queste due leggende?
Avere la possibilità di trasmettere messaggi attraverso voci così importanti della reggae music è innanzitutto un onore. E dal punto di vista pratico, portarli in studio e poter osservare il loro metodo di lavoro è stato senz’altro instruttivo.
Quand’è stata la prima volta che li avete incontrati (Earl Sixteen e Johnny Osbourne)?
Abbiamo incontrato Earl 16 nel 2014 in occasione di due serate in Puglia, una su sound system ed una live supportato dalla Cultural Sound Band. In quell’occasione, dopo avergli mandato preventivamente basi e testo perchè li studiasse, lo abbiamo portato in studio per registrare.
Johnny Osbourne è stato invece un colpo di fortuna. Ad Aprile 2015 era in Italia per una serie di date e uno di noi fu contattato da un promoter italiano che ci chiese se potessimo essere interessati a fare qualcosa con lui visto che, dopo l’ultima esibizione a Pescara, sarebbe in ogni caso dovuto scendere a Bari per prendere l’aereo per Parigi. Ovviamente non potevamo farci scappare l’occasione!
Dal punto di vista studio abbiamo scoperto un vero insegnante che non ha perso occasione di dare consigli su come creare una tune efficace, parlandoci anche dei metodi usati da Bob Marley, nonché un artista estremamente meticoloso.
Recentemente avete pubblicato il vostro primo album, questa volta sotto il nome di Cultural Sound Band. Come si compone la band e quando nasce?
La Cultural Sound Band nasce nel 2010, con l’intento di ricreare quanto più fedelmente possibile un sound roots anni 70′-80′ con il proprio tocco personale. Come ha detto una volta Dub Judah parlandone: l’intento è creare l’effetto time-machine.
Formalmente si tratta di un collettivo di musicisti che danno il loro apporto per la creazione di musica, riddim e basi per artisti locali ed internazionali, un po come si faceva una volta. Ci è sempre piaciuto pensare di poter creare un progetto completo con etichetta, band e studio tutto interno come nel passato.
Quali sono i ricordi più significativi delle vostre performance?
Senza dubbio l’esperienza sul palco con Earl16, che ci ha fatto crescere molto, insieme al momento completamente improvvisato con Dennis Bovell nel 2013 in cui suonammo con lui Bettah e DubMaster. Oltre ai numerosi live con cantanti locali e italiani.
Cultural Sound, questo il nome dell’album che avete pubblicato lo scorso aprile, contiene sedici tracce interamente create, arrangiate, prodotte e suonate da voi. Potete raccontarci qualcosa di più riguardo a questo progetto?
Certo. L’album, uscito in formato cd per arrivare anche a chi non possiede un giradischi, è una raccolta di produzioni registrate negli anni dalla band. Si tratta del lavoro di vari musicisti e cantanti, alcuni di passaggio e altri che danno permanentemente il loro contributo per il progetto.
Quali sono le band da cui traete ispirazione a livello musicale?
Roots Radics, Sly&Robbie, The Revolutionaries, Matumbi, Talisman….ma questi sono solo alcuni. Senza dimenticare gruppi funk,blues e jazz da cui ci piace farci influenzare.
Torniamo all’Italian Roots Records. Cosa ne pensate della scena reggae italiana odierna? E a livello internazionale?
In Italia sembra esserci un progressivo ingrandimento della scena reggae,soprattutto per quanto riguarda i sound system. Invece ci sembrano ancora troppo poche le band con sonorità anni 70, il vero roots. Ci sono inoltre progetti validissimi e produttori molto bravi che lavorano bene nel dub, partendo dal famosissimo Paolo Baldini a Dan I, Michael Exodus, Moa Ambessa e tanti altri.
A livello internazionale sicuramente apprezzabile il reggae UK e quello francese che spacca nel dub. Difficile dare una risposta breve e completa perchè i vari artisti lavorano in modo diverso e fanno ognuno qualcosa di bello. I Twinkle, Luciano…diversissimi ma interessanti.
Purtroppo negli ultimi anni abbiamo perso tanti artisti importanti, ma è bello vedere che alcune leggende come Israel Vibration continuano a produrre,seppur evolvendosi anche loro nel tempo.
Secondo una ricerca inglese, negli ultimi mesi il vinile ha superato il digitale nelle vendite. Secondo voi quanto è importante questo supporto per la musica reggae?
Il vinile nel reggae rappresenta le origini, il calore della musica, molto più che in altri generi. Rappresenta l’imperfezione e la durata nel tempo. É bello pensare che i nostri figli e nipoti potranno ascoltare musica nello stesso modo in cui lo facevano i nostri nonni. Infatti noi ne compriamo tantissimi, forse per questo le vendite sono incrementate così!
Che progetti avete per il futuro?
Nell’immediato futuro ci sono due brani, originariamente dubplates, che stamperemo a breve su vinile e poi chissà, siamo sempre aperti a nuove collaborazioni,infatti cogliamo l’occasione per dire a cantanti e musicisti di scriverci!
Grazie a tutta la Crew per l’intervista!
Grazie a te e a voi per averci scoperto e averci dato la possibilità di parlare del nostro progetto in cui crediamo con tutte le nostre forze. Big Up eventireggae.it!
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