Uscito lo scorso 13 aprile, Longside – The Italian Dubmentary è un documentario che ci porta alla scoperta della scena dub e sound system italiana. Abbiamo intervistato Federico Romanello, regista del progetto, che ci ha raccontato come è nata l’idea, come è stata realizzata e quali sono i progetti futuri.
Ciao e grazie per essere qui con noi.
Ciao a tutti, e grazie per esservi interessati a questo progetto. Sono Federico Romanello, regista e montatore di questo progetto intitolato Longside – The Italian Dubmentary.
Quando nasce l’idea di girare un documentario sulla scena sound system italiana?
L’idea di questo documentario è nata nel giugno 2011 da me, Saverio Soriani, e Paola Marinelli, precisamente alla fine della prima edizione dello Zion Station Festival, manifestazione annuale dedicata alla sound system culture italiana, un festival a cui noi avevamo partecipato alla realizzazione, su più livelli dello staff operativo. Dopo quest’esperienza, in cui ci siamo ritrovati calati nel bel mezzo della scena dub italiana, abbiamo deciso di intraprendere un viaggio per incontrare vari sound system presenti in Italia (2011), e domandare quali esperienza li hanno portati a creare un impianto, quale è stato il background musicale che li ha portati ad avere un sound system e come si sono avvicinati a questo genere musicale.
A tal fine, avevamo bisogno della strumentazione per effettuare le riprese. Quindi abbiamo chiesto all’associazione Area Giovani del comune di Ferrara, la disponibilità a fornirci videocamera, cavalletto, microfoni…..tutto il necessario per riprendere un documentario in buona qualità. La camera principale con cui sono state registrate le testimonianze e la maggior parte del documentario ha una risoluzione 720 hd, registrato su tape miniDV, alle quali la sigla iniziale si ispira. L’ultima parte del documentario dedicata al primo sound system italiano che ha partecipato all’University of Dub di Londra, è stata registrata invece con una camera Full HD.
Qual è l’obiettivo di Longside?
Longside ha voluto raggiungere ogni sound man nella propria città, per capire le differenze tra i diversi sound: questo perché la scena italiana è molto eterogenea.
Diverso il sound, diverso lo stile, e quando cambi città, cambia anche la visione di come la sound system culture viene interpretata. E questa è la peculiarità della scena dei sound system dub italiani, e questa è stata la sfida più ardua nella realizzazione di questo documentario: ovvero, ricercare un unico filo conduttore per accumunare i differenti sound nella penisola.
Quanto tempo ci è voluto a raccogliere tutte le testimonianze dei vari sound italiani che compaiono nel documentario?
Abbiamo iniziato il nostro viaggio da Matera, poi siamo passati in varie zone della Puglia e abbiamo continuato verso Napoli, Roma, Firenze, Venezia, Bergamo, Udine. Tutte queste testimonianze sono state raccolte da agosto 2011 a (indicativamente) ottobre 2012.
La parte di post-produzione e montaggio è stata la più lunga ed è stata a sua volta composta da più fasi: reperire un buon computer per effettuare il montaggio; ricercare tutto il materiale di repertorio e immagini di copertura che rappresentassero la storia della sound system culture in Italia; e, soprattutto, la fase di riorganizzazione delle testimonianze e la successive creazione di uno story telling in modo da avere una narrazione continua e completa per tutto il documentario, in base alle interviste raccolte.
Fondamentale è stato il lavoro di traduzione in inglese fatto da Mira Peliti che permette una diffusione del documentario anche fuori dai confini nazionali.
Cosa caratterizza e cosa differenzia la scena sound system italiana da quella europea?
Ho descritto precedentemente la scena italiana come “eterogenea”: la scena dei sound system dub italiani si differenzia inoltre alla radice nella sua diffusione.
In Italia il reggae dei primi anni 90, collegato al periodo delle Posse, ha avuto un legame molto forte con le realtà occupate e i centri sociali, un discorso diverso da altre realtà europee.
I luoghi di autogestione hanno concesso spazi, permettendo la diffusione dei sound system, i quali condividevano con i centri sociali i principi politici, dando voce alle inguistizie sociali del proprio territorio, amplificandole con impianti autocostruiti. Con gli anni il discorso è cambiato avvicinandosi di più alla realtà europea, i sound system sono stati “accolti” nei club, ci sono serate ad-hoc in tutta italia e i festival sono esplosi.
Ci sono altri progetti in cantiere sempre riguardanti la scena reggae italiana?
Il progetto parallelo che è nato di pari passo a Longside è la produzione audiovisiva indirizzata ai sound, singer, label e produttori nella reggae music e non solo. La collaborazione con Imperial Sound Army per il videoclip “The World Was Rasta” ne è un esempio.
Big up e massimo rispetto per questa iniziativa.
Grazie a voi per il tempo concesso.