Non è il primo e non sarà l’ultimo che si schiera contro i Grammy Awards, il celebre premio che annualmente elegge i migliori album dell’anno e che dal 1984 dedica una sezione anche alla musica reggae. Negli ultimi anni, complici anche le sempre più sorprendenti (in negativo) nomine, numerosi addetti ai lavori hanno espresso la loro contrarietà.
Freddie McGregor non ha usato mezze parole e ha chiaramente detto ciò che pensa: “Una vergogna di grandezza indescrivibile” riferendosi alle nomination per la cinquantanovesima edizione. Un pensiero condiviso da molti e che noi stessi avevamo subito manifestato nel commentare a caldo le nomine: non a caso quel giorno titolammo “I Grammy fanno sempre più ridere: le assurde nomination per il miglior disco reggae“.
Il celebre artista, reduce dalla pubblicazione di True To My Roots, ha poi analizzato a livello più generale il perché i Grammy si siano ridotti a questa ridicola situazione: “Se permettiamo ad una commissione formata da non giamaicani di valutare la nostra musica, non meravigliamoci se perdiamo sempre. Ormai il Grammy è diventato un giocattolo dato in dono alla costa occidentale degli Stati Uniti“. E non a caso non solo i Grammy sono rivolti esclusivamente a dischi che hanno una distribuzione nel mercato statunitense ma quest’anno, su sei dischi, ben tre sono di band o artisti degli States: Soja, Rebelution e J Boog, senza considerare Ziggy Marley che è ormai stabile negli Stati Uniti.
McGregor ha inoltre evidenziato come questa situazione porterà alla morte del reggae in Giamaica, andando sempre più ad aggravare un difficile momento per la musica in levare: è infatti di questi giorni la notizia che le radio giamaicane hanno versato più soldi, per la trasmissione delle canzoni, ad artisti stranieri piuttosto che a quelli locali segno di come anche i media si focalizzino più sull’estero piuttosto che sulla propria musica.